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La narrazione in terza persona

terza persona

Per ovviare ai limiti della narrazione in prima persona, che consente di fornire solo un certo numero di informazioni, si ricorre alla terza persona, di cui esistono tre tipologie: terza persona con unico punta di vista, con punto di vista mobile e narratore onnisciente.

La terza persona con unico punto di vista segue un personaggio in via preferenziale, adottandone il punto di vista, e permette di dare informazioni in maniera libera, ad esempio sull’aspetto fisico del personaggio prescelto; se da un lato essa implica un vantaggio informativo, dall’altro è priva dell’effetto intimo e immediato della prima persona.

La terza persona con più punti di vista o punto di vista mobile adotta lo sguardo di più personaggi, fornendo ancora più informazioni al lettore. Il narratore in terza persona non sa tutto dei suoi personaggi, ma ne svela pensieri, azioni ed emozioni solo nel momento in cui essi vivono una determinata situazione. Lo scrittore che sceglie questa tipologia di punto di vista deve stare attento a distribuire in modo sapiente le informazioni nel romanzo, a non inserire commenti personali e, soprattutto, a non favorire eccessivamente un punto di vista a discapito di un altro, mantenendo sempre un certo equilibrio.

Il narratore onnisciente, infine, conosce già tutta la storia e tutti personaggi, il loro passato e la loro vita psichica, conoscenza che gli permette di arricchire la narrazione di molti dettagli. Avendo accesso a tutte le informazioni, il narratore onnisciente deve essere accorto a dosare bene la caratterizzazione dei personaggi, evitando di dire troppo, e non deve avere una voce troppo invadente nella storia, permettendo al lettore di godersi l’esperienza della lettura e di farsi una propria opinione sulla vicenda che gli viene raccontata. Il narratore onnisciente viene scelto per raccontare storie ricche di personaggi che agiscono, come saghe familiari, romanzi fantasy o storici, esempi di narrativa corale contemporanea.

L’importanza della riscrittura

Riscrittura

Molti scrittori alle prime armi pensano che, una volta terminata la prima stesura di un romanzo, il lavoro sia già finito. Niente di più sbagliato. La vera scrittura, infatti, è riscrittura, cioè un lavoro continuo di perfezionamento e di limatura, per svolgere il quale lo scrittore deve tornare sul romanzo di continuo. “La prima stesura di qualsiasi cosa è merda” sosteneva Ernest Hemingway, l’autore americano de Il vecchio e il mare. È questa la ragione per cui un autore dovrebbe riscrivere quello che ha creato, apportando un numero di revisioni variabile da persona a persona e da opera a opera. A grandi linee, potremmo dire che un buon numero di revisioni è 5 e un numero eccellente 10, ma i più temerari potrebbero arrivare perfino a 15.

Gli scrittori navigati dicono che la prima stesura si faccia col cuore e la seconda con la testa: nella prima fase ci troviamo nel momento geniale della creazione, dell’ispirazione e dell’entusiasmo; nella seconda, invece, dobbiamo analizzare ciò che abbiamo prodotto per capire cosa funziona e cosa no, cosa è superfluo e cosa mancante e il senso complessivo dell’opera. Il lavoro di riscrittura o di revisione è necessario perché durante la prima stesura non abbiamo il sufficiente distacco per guardare alla nostra opera con obiettività e spirito critico, ma, al contrario, è un momento in cui tutto ci sembra perfetto; nella fase di riscrittura, invece, siamo abbastanza lucidi da renderci conto degli errori.

La riscrittura non riguarda solo il rapporto dello scrittore con la sua opera, ma anche il rapporto dell’opera con le case editrici e gli editor/redattori editoriali. Presentare la prima versione di un romanzo a una casa editrice, infatti, è un autogoal, qualcosa che diminuisce le probabilità di essere pubblicati. Questo accade perché la prima stesura è materiale grezzo e, in quanto tale, non potrà avere la considerazione che merita fino a quando non sarà stato lavorato; a ciò si aggiunge anche il fatto che una prima stesura richiede maggiori tempi e costi di produzione editoriali.

Infine, riguardo al rapporto con i professionisti del settore, è sempre buona norma contattare un editor quando il romanzo è nella sua versione migliore, cioè quando abbiamo fatto tutti i cambiamenti necessari e non abbiamo più incertezze. Se commissioniamo l’editing di un romanzo di cui non siamo sicuri, rischiamo di voler fare nuove modifiche, vanificando il lavoro dell’editor. Una volta consegnata la versione migliore del romanzo, spetterà poi all’editor segnalarci le cose che non vanno, quelle che, in quanto non professionisti e in quanto parziali, non possiamo cogliere.

Quali sono le varie tipologie di incipit

Incipit

L’incipit di un romanzo è costituito dalle prime righe con cui uno scrittore o una scrittrice inizia la sua storia. È uno dei primi approcci del lettore al libro e ha lo scopo di incuriosirlo e di spingerlo a proseguire, facendo sì che attui la cosiddetta sospensione dell’incredulità, il patto implicito tra lettore e scrittore con il quale il primo accetta di credere a ciò che sa essere finzione nel lasso di tempo della lettura. In linea generale, affinché un incipit sia efficace è importante che esso descriva un momento della vicenda capace di conquistare l’attenzione del lettore o che getti le basi per la costruzione di un mondo narrativo plausibile e coerente al suo interno.

Nella letteratura italiana sono celebri gli incipit di Cesare Pavese (1908-1950), i cui racconti iniziano tutti con una preposizione, semplice o articolata, che tiene il lettore in sospeso fino alla fine della frase, quando gli viene rivelato il vero senso del discorso.

«Di tutta l’estate che trascorsi nella città semivuota non so proprio che dire» (L’estate).

Ogni scrittore ha il suo modo di agganciare il lettore, ma esistono alcuni incipit virtuosi sui quali vale la pena soffermarsi.

Incipit dinamico

È un incipit caratterizzato dal movimento, in cui vengono descritte situazioni e personaggi che sono in azione nei contorni di una scena delineata e che mette in movimento anche l’immaginazione del lettore.

«Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l’ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina.» (Io non ho paura, Niccolò Ammaniti).

Incipit in medias res

È un incipit che catapulta subito nel vivo della storia, privo di sequenze narrative che chiariscono il contesto e che lascia al lettore il compito di ricostruirlo, con i suoi personaggi e i suoi accadimenti.

«Quel giorno era impossibile uscire a passeggio. Al mattino, in realtà, avevamo gironzolato per un’ora tra gli arbusti spogli, ma dopo pranzo (Mrs Reed, quando non c’erano ospiti, pranzava presto) il freddo vento invernale aveva portato con sé nubi così scure e una pioggia così insistente che altre escursioni all’aperto erano decisamente fuori questione.» (Jane Eyre, Charlotte Bronte).

Incipit visivo

È un incipit che stuzzica il senso della vista del lettore, abituandolo fin da subito a esercitare l’immaginazione per visualizzare il romanzo come se si svolgesse davanti ai suoi occhi.

«Alzai lo sguardo per via delle risate, e continuai a guardare per via delle ragazze. Notai prima di tutto i capelli, lunghi e spettinati. Poi i gioielli che brillavano al sole. Erano in tre, così lontane che vedevo solo la periferia dei loro lineamenti, ma non importava: capii subito che erano diverse da tutte le altre persone del parco.» (Le ragazze, Emma Cline).

Incipit ribelle

È un incipit che, rompendo le convenzioni letterarie, suscita una reazione forte nel lettore, di sorpresa o di ribrezzo. È utilizzato per affrontare tematiche controverse, spinose o delicate e, se orchestrato bene, non genera un rifiuto nel lettore, ma lo invoglia a continuare.

«La mattina che si uccise anche l’ultima figlia dei Lisbon (stavolta toccava a Mary: sonniferi, come Therese) i due infermieri del pronto soccorso entrarono in casa sapendo con esattezza dove si trovavano il cassetto dei coltelli, il forno a gas e la trave del seminterrato a cui si poteva annodare una corda.» (Le vergini suicide, Jeffrey Euginedes).

Incipit descrittivo

È un incipit classico, composto da pure sequenze narrative che chiariscono l’ambientazione e i vari tipi di personaggi che popolano la storia. Esso ha la funzione di informare, non di emozionare, motivo per il quale trascura l’interiorità e la psicologia dei personaggi, che saranno approfondite nel corso della narrazione.

«Nell’ospedale dell’orfanotrofio – reparto maschi a St. Cloud’s, nel Maine – due infermiere erano incaricate di dare un nome ai neonati e controllare che il loro piccolo pene guarisse bene, dopo la circoncisione obbligatoria. A quei tempi (nel 192…) tutti i maschi nati a St. Cloud’s venivano circoncisi perché il medico dell’orfanotrofio aveva incontrato difficoltà di vario genere nel curare i soldati incirconcisi durante la Grande Guerra.» (Le regole della casa del sidro, John Irving).

Questi sono solo alcuni dei tipi di incipit presenti in letteratura, accanto ad altri validi ma difficili da categorizzare. Non esistono regole fisse per creare un incipit perfetto, ma è importante che l’autore conosca il modo giusto per ingraziarsi il lettore.

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Quali sono le varie tipologie di editori

Ogni editore possiede un catalogo, cioè un insieme di titoli, collane e autori che ne definisce l’identità. È possibile distinguere due principali categorie di editoria: l’editoria di varia, che viene venduta nelle librerie, e l’editoria scolastica, che ha tempi e modalità di produzione e di commercializzazione differenti. La maggior parte degli editori di varia punta sulla narrativa, il genere più richiesto, poi sulla saggistica o su entrambi.

All’interno della saggistica, ci sono editori che hanno una particolare specializzazione: pubblicazioni storiche (Laterza), manualistica (Hoepli), testi giuridici o professionali (Giuffrè), divulgazioni scientifiche (Zanichelli), arte (Electa, Skira, Franco Maria Ricci), turismo e cartografia (Istituto Geografico DeAgostini e Touring Editore), musica intesa come spartiti (Ricordi e Curci) o libri che parlano del tema, cinema (Gremese e Il Castoro delle origini) e poesia (Crocetti). Scendendo ancor più nello specifico, ci sono anche editori che si dedicano al mondo e alle professioni delle biblioteche e del libro, come l’Editrice Bibliografica. Tra gli editori di graphic novel menzioniamo Coconino Press, Beccogiallo e Bao e, tra quelli di fumetti, Panini Comics e Bonelli. Molto viva è anche l’editoria religiosa, con nomi dalla lunga tradizione quali ElleDiCi, Dehoniane, San Paolo, Paoline, ma anche Città Nuova, Queriniana, Morcelliana e Vita e Pensiero; quest’ultima è la prima university press italiana, legata all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Nell’editoria scolastica i nomi più importanti in Italia sono Zanichelli, che racchiude diverse sigle quali Loescher e Atlas, e Pearson, leader mondiale nel settore che in Italia comprende le sigle Paravia, Bruno Mondadori, Linx, Lang, Archimede, Longman e Paramond.

Una categoria a sé stante è quella delle grandi opere, progetti di grande portata che coinvolgono varie professionalità e richiedono un lungo e articolato lavoro. Distribuite fino a poco tempo fa attraverso la vendita rateale e in più volumi, al loro interno una delle capostipiti è l’Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, nota come La Treccani. Tra le grandi opere ci sono anche le opere di consultazione (reference books), di dimensioni minori delle enciclopedie e in uno o più volumi, come i vocabolari. Fanno parte delle grandi opere anche i volumi strenna, libri pregevoli che le grandi aziende acquistano dagli editori e danno in omaggio ai clienti più facoltosi in occasione delle festività natalizie; una volta questo settore si definiva editoria bancaria.

Un ulteriore categoria di editori è costituita dagli editori occasionali, specializzati nell’allestire i cosiddetti instant book, libri che mirano ad essere venduti sfruttando il clamore mediatico di un avvenimento recente, come la morte di un personaggio noto o la vittoria di un determinato partito politico. Nelle edicole circolano altri due generi editoriali pensati appositamente per questo canale: i collaterali, libri allegati a quotidiani o a periodici, e i collezionabili, grandi opere costituite da fascicoli venduti settimanalmente. Un’ultima categoria è rappresentata dal club del libro, come il Club degli editori nato nel 1960 su iniziativa di Mondadori, che proponeva un libro ogni mese e che sfruttava la formula del silenzio-assenso per inviare automaticamente il volume proposto.

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Come si utilizzano i tre tipi di trattino

trattino

Nella lingua italiana esistono tre tipi di trattino: il trattino breve (-), quello medio (–) e quello lungo o lunghissimo (—). Ognuno di questi tre segni di interpunzione, che non sono intercambiabili tra di loro, ha una funzione specifica.

Il trattino breve (-) si utilizza nei termini composti, quali “socio-economico”, “tecnico-amministrativo” e “pre-produzione”.

Il trattino medio ha la funzione di segnalare un inciso, cioè una frase indipendente o un sintagma inserito all’interno di un’altra frase, là dove le virgole non sono sufficienti. Il trattino è quasi sempre doppio, ma ci sono casi in cui può stare anche da solo, cioè casi in cui può aprirsi e non chiudersi perché si chiude sul punto. La parentesi, invece, richiede sempre la sua gemella.

Esempio di trattino singolo:

Marco decise che non si sarebbe più confidato con nessuno – con nessuno tranne che con lei.

Sebbene i trattini e le parentesi siano sostituibili da un punto di vista normativo, in letteratura l’utilizzo degli uni o degli altri è una scelta meramente stilistica. Parentesi e trattini possono convivere nello stesso testo: si utilizzano le prime per segnalare divagazioni più lunghe o per concentrarsi su argomenti un po’ diversi da ciò che le precede o le segue – già solo da un punto di vista grafico le parentesi creano una netta separazione – e i secondi per le piccole deviazioni, che non si allontanano molto dall’oggetto della frase. Il trattino medio può essere utilizzato anche per introdurre una battuta di dialogo, quindi al posto delle virgolette alte (“”) o dei caporali («»); può indicare una frattura sintattica, cioè il punto in cui una frase svolta di colpo; può segnalare un anacoluto, cioè un improvviso cambiamento di progetto della frase; o può indicare un cambiamento di tono verso il basso, cioè per dire cose meno importanti.

Il trattino è un elemento di complicazione della frase e, in quanto tale, andrebbe evitato nella prosa che mira a essere diretta e a conquistare un lettore pigro o impaziente.

Esempio di anacoluto:

Io quel tipo – non mi piace, lo sai.

Il trattino lungo, infine, indica un’interruzione brusca, quindi è molto utile nelle battute di dialogo in cui un personaggio viene interrotto. Questo è un segno di interpunzione tipicamente americano e perlopiù sconosciuto alla lingua italiana, che, erroneamente, ricorre ai tre puntini di sospensione per segnalare le interruzioni.

Esempio di utilizzo del trattino lungo:

“Come stai?”

“Perché mi fai sempre la stessa domanda? Lo sai benissimo come sto e non sopporto che—”

“E quando te lo avrei chiesto, scusa?”

In conclusione, il trattino è un simbolo efficace e versatile, ma non lo si dovrebbe utilizzare in modo eccessivo e andrebbe limitato ai contesti in cui gli altri segni di interpunzione sono inadeguati.

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Che cos’è il codice Isbn

isbn

Per essere messo in commercio ogni libro ha bisogno di un codice Isbn, acronimo inglese che sta per International Standard Book Number. La funzione del codice è di identificare in modo univoco e duraturo un titolo o un’edizione di un determinato editore (deve cambiare per ogni nuova edizione, diversa dalla ristampa). Il codice viene utilizzato anche per tutti quei prodotti destinati a essere utilizzati come libri, anche se non propriamente tali, e ha dei similari nel mondo dei periodici e della musica, dove si utilizzano l’Issn e l’Ismn (la “b” di “book” è sostituita dalla “s” di “serial” e dalla “m” di “music”).

Dal 2007 l’Isbn è composto da 13 cifre, suddivise in cinque gruppi separati da trattini, ognuno dei quali ha un significato specifico:

  • Il codice che indica il prodotto libro (3 cifre: 978);
  • Il gruppo linguistico (88 per l’Italia);
  • Il prefisso editore (può avere da 2 a 6 cifre in base ai titoli che si possono generare)
  • Il numero del titolo (può avere da 2 a 6 cifre, a seconda del codice editore)
  • Cifra finale di controllo (1 numero)

Se un’opera è pubblicata in coedizione da due o più editori, deve essere assegnato l’Isbn dell’editore che la distribuisce; ciascun editore può assegnare il proprio Isbn, scrivendone due sul retro del frontespizio del libro, ma sulla quarta di copertina deve apparire solo l’Isbn dell’editore che distribuisce l’opera. A ciascuna edizione elettronica (e-book) e a ciascun formato di e-book (.pdf, .html, .pdb) pubblicato e reso disponibile separatamente deve essere attribuito un Isbn diverso. Un’opera in più volumi richiede un Isbn complessivo.

Dal 2015 è attivo un nuovo prefisso nazionale italiano, 979-12, solo per il self publishing, cioè per gli autori che si pubblicano autonomamente. Questo prefisso è utilizzato anche dagli editori tradizionali quando le numerazioni basate su 978-88 si esauriscono.

In conclusione, la lettura dell’Isbn serve a conoscere elementi del libro e dell’editore.

Quali sono i vari tipi di scritture editoriali

Il lavoro di una casa editrice non consiste soltanto nella creazione e nella diffusione di un libro, ma anche nella realizzazione di una serie di scritture editoriali che ruotano attorno a esso e che hanno la funzione di promuoverlo, di renderlo visibile e accattivante. I principali tipi di scrittura editoriale sono:  scheda di lettura, prefazione, sommario, apparati, quarta, scheda di promozione e comunicato stampa.

La scheda di lettura è compilata dai lettori professionisti che lavorano per la casa editrice – fidati e autonomi nel giudizio – ed è utilizzata per fornire la valutazione di un manoscritto. Può essere libera o strutturata in sezioni fisse (genere, sinossi, collana di destinazione, giudizio).

La prefazione o nota introduttiva è un testo di presentazione che precede l’opera, scritto da una persona diversa dall’autore, molto spesso una firma prestigiosa che può fare da traino commerciale. Può anche essere redatta dalla casa editrice e non può essere più lunga di 3-5 pagine, altrimenti diventa un saggio introduttivo.

Il sommario o l’indice generale è collocato all’inizio nelle opere di saggistica, una posizione strategica che rappresenta una soglia di accesso, e alla fine nelle opere di narrativa e poesia.

Gli apparati di un testo possono essere scolastici – box, didascalie alle immagini, esercizi, approfondimenti e attività integrative su carta e su web – o semplici note, commenti e appendici documentarie all’interno di un libro di varia. Nella varia di cultura le note possono essere bibliografiche o esplicative; le note autoriali sono quelle non allestite dalla redazione.

La quarta è un testo sintetico di presentazione o di promozione collocato sul retro o sul risvolto/aletta del libro. Essa ha la funzione di informare o di incuriosire alla lettura, riportando un sunto dell’opera, un estratto positivo di una recensione, un strillo o una biografia dell’autore. Nella quarta si trovano anche il prezzo e il codice Isbn del libro.

La scheda di promozione, indirizzata ai librai, contiene i dati bibliografici principali (titolo, autore, eventuale curatela, pagine, prezzo, Isbn, collana, data di uscita), la descrizione dell’opera (quarta di copertina), la biografia dell’autore e l’immagine di copertina (anche provvisoria).

Rispetto alle altre scritture editoriali, il comunicato stampa ha un taglio più informativo, cioè fornisce le informazioni chiave riguardanti l’uscita di un libro o una presentazione pubblica. Essendo indirizzato a giornalisti che devono rilanciare la notizia, ai quali arrivano miriadi di comunicati, è importante che il comunicato stampa abbia uno stile chiaro ed essenziale, che rinunci ad artefici letterari e che rispetti la regola giornalistica delle 5W (Who? What? When? Where? Why?).

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Come proporsi a una casa editrice

come proporsi a una casa editrice

La fine di un romanzo è contemporaneamente un momento di gioia e di confusione. Dopo il grande sacrificio per portarlo a compimento, si pone una domanda spinosa ma fondamentale: come lo si propone a una casa editrice?

La maggior parte degli editori attivi richiede tre cose: il romanzo, una sinossi e una biografia dell’autore.

Il romanzo deve essere nel suo stato migliore, gli editori devono accorgersi che c’è stato un grande lavoro alla base e che niente è stato lasciato al caso. Libri zeppi di errori di distrazione o con buchi di trama e incoerenze vistose vengono scartati con molta facilità.

La sinossi deve spiegare il romanzo per intero, in modo sufficientemente dettagliato e includendo anche il finale. Per definizione la sinossi deve essere breve (no, le sinossi di 5-6 pagine non sono vere sinossi), essenziale, chiara e pulita. Vanno evitate le sinossi che non spiegano a dovere gli eventi e che creano un alone di mistero, oppure le sinossi troppo generiche, che non scendono nello specifico. La sinossi, infatti, è lo strumento che permette all’editore di velocizzare il lavoro, evitandogli di dover arrivare alla fine del libro per sapere cosa succede.

La biografia è la presentazione dell’autore, serve alla casa editrice per farsi un’idea generica della persona e venire a conoscenza di eventuali pubblicazioni passate (numero, editori scelti, scelta dell’autopubblicazione). Nella biografia non dovrebbero mancare l’età anagrafica, la provenienza geografica e la professione, mentre i dettagli sulla vita privata sono inutili.

Sebbene siano queste le regole generali per proporre un romanzo, esistono editori che fanno richieste diverse agli autori. Alcuni, ad esempio, vogliono una scheda di presentazione al posto del romanzo e poi, se sono incuriositi, lo richiedono in un secondo momento. Alcuni vogliono un breve estratto dell’opera, conoscere le motivazioni che spingono un autore a proporsi a loro, leggere solo un certo numero di pagine o che il romanzo rispetti determinati requisiti grafici (font, interlinea).  Rispettare le richieste di un editore significa rispettare il lavoro di un insieme di professionisti; non farlo è sintomo di arroganza, superficialità o pigrizia.

È inutile inviare un manoscritto a un editore che ha chiuso temporaneamente le selezioni.

Gli errori da evitare quando si scrive

errori da evitare quando si scrive

La scrittura è un’arte che si apprende con l’esercizio e la lettura – lo dice Stephen King nel suo On Writing: Autobiografia di un mestiere – ma si basa anche su una componente di talento naturale; in altre parole, la capacità di scrittura è un dono, qualcosa di innato che ha solo bisogno di essere sviluppato. Gli autori di tutto il mondo sono impegnati a sorprendere il lettore e trascurano aspetti più importanti dei loro romanzi, commettendo errori grossolani che fanno dileguare il lettore alla velocità della luce.

Ecco una breve lista di errori da non commettere quando si scrive:

  • Utilizzo eccessivo di avverbi e aggettivi

Nessun lettore vuole sapere che qualcosa è fantastico, ma in che modo è fantastico. Nessun lettore vuole sapere in che modo si svolge un’azione, ma vedersela descrivere. Avverbi e aggettivi sono le parti del discorso che rallentano maggiormente la lettura e che offrono informazioni nebulose al lettore – dire che una donna è bella non ha la stessa efficacia di dire che una donna è bella come il sole che sorge la mattina; dire che una persona cammina velocemente non ha la stessa efficacia di dire che una persona cammina come se una fiamma le bruciasse la schiena – facendo passare lo scrittore per una persona pigra, che non vuole impegnarsi. Avverbi e aggettivi non sono vietati, dopotutto fanno parte della lingua italiana, ma andrebbero usati con parsimonia e, ove possibile, sostituiti con descrizioni più dettagliate.

  • Ripetizione degli stessi concetti

Nessun lettore vuole leggere qualcosa che ha già letto in precedenza. Molto spesso gli autori alle prime armi, nella convinzione errata che chi legge abbia scarsa memoria, tendono a ripetere gli stessi concetti, a spiegare più volte gli ideali e/o le motivazioni dei personaggi. A ben vedere la ripetizione allunga inutilmente il romanzo, genera noia e, soprattutto, rischia di far sentire il lettore stupido. Quando si scrive bisogna dare per scontato che si verrà letti con attenzione e fidarsi dell’intelligenza delle persone.

  • Dire al posto di mostrare

La letteratura dovrebbe parlare attraverso le azioni, i comportamenti e i gesti dei personaggi, non attraverso le parole. Uno scrittore che si preoccupa di spiegare minuziosamente perché i personaggi agiscono in un certo modo tradisce la missione della scrittura, quella di creare immagini vivide nelle mente del lettore, di fargli vedere quello che succede con i suoi occhi come se stesse assistendo a uno spettacolo teatrale. Le parole sono alle base delle scrittura, ma è importante saperle usare nel modo giusto, evitando che si trasformino in un’arma a doppio taglio.

  • Complicare volutamente la scrittura

Se il sogno di ogni scrittore è raggiungere una moltitudine di persone, non può pretendere di comunicare con un linguaggio di difficile comprensione. Spesso, nello sforzo di impressionare editori e lettori, gli scrittori in erba complicano volutamente la scrittura, senza sospettare che nessuna delle due categorie impiegherà il suo tempo per decifrare il libro, bensì passerà oltre. La semplicità è grandezza, è il modo più potente di comunicare, è riguardo verso chi legge. La strada per raggiungere il cuore dei lettori è dritta e liscia, senza curve o buche.

La differenza tra editing e correzione di bozze

correzione di bozze

Editing o correzione di bozze? Questo è il dilemma. Non c’è l’uno senza l’altro e la seconda è il perfezionamento del primo.

L’editing, dall’inglese to edit  (modificare, correggere), è la prima revisione che un romanzo riceve da parte di un professionista dell’editoria (l’editor, appunto), paragonabile a una esplorazione del terreno “letterario”. È nella fase di editing, infatti, che un libro rivela tutti i suoi punti di forza e di debolezza, che, anche con la collaborazione dell’autore, andranno esaltati o eliminati. L’editing interviene sulla forma e sullo stile di un romanzo, attraverso modifiche che riguardano l’aspetto grammaticale, sintattico e lessicale del testo – errori grammaticali, logici, parole usate in un contesto sbagliato – e modifiche che investono il testo nella sua complessità – inversioni di parole, tagli, aggiunte, riscritture. Oltre all’aspetto testuale, l’editing coinvolge anche l’aspetto contenutistico e semantico di un libro: nel corso del suo svolgimento, infatti, vengono scovati i buchi di trama, le incoerenze, le inesattezze storiche del presente e del passato e, infine, controllata la credibilità dei personaggi, che dovrebbero avere comportamenti in linea con la personalità definita dallo scrittore e in generale sensati.

La correzione di bozze, invece, è l’ultima revisione che si fa a un romanzo. Essa interviene sulla forma – correggendo errori ortografici, di distrazione e di battitura – sulla formattazione del testo (capoversi, spaziatura, font del carattere) e sulla punteggiatura. È il controllo finale che si richiede prima di mandare un libro in stampa. La correzione di bozze serve anche a verificare eventuali errori commessi in fase di editing, che devono essere corretti con lo spirito di un editor e non di un semplice correttore di bozze affinché il libro sia perfetto a livello testuale e possa passare alla fase successiva, l’impaginazione.

L’impaginazione interviene sulla veste grafica del libro. Durante di essa il testo viene organizzato e distribuito a seconda di come lo si vuole vedere sulla carta stampata e vengono inseriti i loghi e le diciture tecniche.

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